Il concetto di company town traducibile con città fabbrica e meglio noto in Italia come villaggio operaio, indica una città in cui la maggior parte degli immobili e servizi sono di proprietà di una singola azienda. Lo scopo è creare un mondo in cui le esigenze di casa e lavoro siano conciliate in un unico centro abitato che sia funzionale tanto agli interessi dell’imprenditore quanto a quelli dell’operaio.
Si tratta di un esperimento economico e sociale che ha caratterizzato il processo di industrializzazione a cavallo tra Ottocento e Novecento, le cui origini risalgono però al Settecento quando a seguito dello sviluppo industriale, nonché del pessimo stato organizzativo delle prime città legate alla produzione in fabbrica, si diffondono, soprattutto in Francia ed in Inghilterra, le teorie illuministe e socialiste. Le company town rappresentano così una realtà di compromesso tra l’utopia socialista e l’insufficiente intervento pubblico nella risoluzione dei problemi urbanistici e sociali generati dall’introduzione dei processi industriali. Al disordine cittadino, sotto la spinta paternalistica di imprenditori illuminati, viene contrapposto un ordinato sistema abitativo ed organizzativo finalizzato al benessere della comunità in funzione della produttività. I villaggi operai si contraddistinguono infatti per la totale integrazione tra la vita all’interno della fabbrica e quella al di fuori di essa
Numerosi sono gli esempi in Italia di company town, dalla prima esperienza di San Leucio nel sud Italia fino ad arrivare al villaggio operaio di Crespi d’Adda, patrimonio dell’umanità dell’Unesco e massima espressione del concetto di imprenditore illuminato, Cristoforo Benigno Crespi, in grado di offrire ai suoi lavoratori tutto ciò di cui avevano bisogno. Non vanno dimenticati il villaggio Leumann, fondato da Napoleone Leumann a Collegno in provincia di Torino e Nuova Schio, fondato da Alessandro Rossi in provincia di Vicenza.
Anche Dalmine, seppur diversi anni dopo la nascita dell’azienda, giungerà alla realizzazione di una propria company town. Quando nel 1920 diventerà presidente dello stabilimento Mario Garbagni, Dalmine vedrà un ventennio di nuove realizzazioni ad opera dell’architetto Giovanni Greppi. Lo scopo è instillare nei lavoratori un sentimento di gratitudine e appartenenza nei confronti dell’azienda, la quale non solo offre un lavoro ma pensa anche a risolvere tutte le esigenze di vita quotidiana. Fu così che nei pressi della Dalmine furono costruiti un quartiere residenziale operaio e uno impiegatizio dirigenziale, una mensa, un dormitorio, una cooperativa di consumo, una pensione, una colonia elioterapica, un asilo ed una scuola, un dopolavoro, una piscina e persino un velodromo.